«La follia e l’orrore hanno attanagliato la mia vita» scriveva Carrère presentando Un romanzo russo ai lettori francesi. «Di questo, e di nient’altro, parlano i miei libri». Un giorno, però, alla follia e all’orrore decide di sfuggire. Trova un nuovo amore e accetta di realizzare un reportage su un prigioniero di guerra ungherese dimenticato per più di cinquant’anni in un ospedale psichiatrico russo. Arriva così in una cittadina a ottocento chilometri da Mosca. Ma nel frattempo, il viaggio in Russia ha messo fatalmente in gioco le sue origini e il suo rapporto con la lingua della madre: e così Carrère comincia a indagare su quello che, non solo implicitamente, gli «è stato proibito raccontare»: la storia del nonno materno, il quale, dopo un’esistenza segnata dal fallimento e dalle umiliazioni, è scomparso nell’autunno del 1944, ucciso probabilmente per aver collaborato con l’occupante. «È il segreto di mia madre, il fantasma che ossessiona la nostra famiglia».
Emmanuel Carrère è nato e vive a Parigi. Della sua vasta produzione sono usciti in Italia, con Einaudi e Adelphi, La settimana bianca, L’avversario, Facciamo un gioco, Vite che non sono la mia, Limonov, Il Regno, A Calais, Io sono vivo, voi siete morti e Propizio è avere ove recarsi.
