È l’estate del 1954, Giacomo Nef ha undici anni e con i due fratelli vive dai nonni paterni a Daghè, sulle pendici del Col di Lana, nelle Dolomiti bellunesi. “Tre case, tre fienili, tre famiglie”. I bambini sono orfani e l’anziano capofamiglia li tratta con durezza e severità, soprattutto il più piccolo. È convinto che Giacomo sia nato da una relazione della nuora in tempo di guerra e lo punisce a ogni occasione, chiudendolo a chiave nella stanza delle mele selvatiche. Lì il ragazzino passa il tempo intagliando il legno e sognando le imprese degli scalatori celebri o degli eroi dei fumetti, e l’avventura gli corre incontro una sera d’agosto. Con l’approssimarsi di un temporale, Giacomo viene mandato dal nonno nel Bosch Negher a recuperare una roncola dimenticata. Alla luce di un lampo scopre vicino all’attrezzo il corpo di un uomo appeso a un albero. L’impiccato è di spalle e lui, terrorizzato, fugge via. Per tutta la vita Giacomo cercherà di sciogliere un mistero legato a doppio filo con la vita del paese, con i suoi riti ancestrali intrisi di elementi magici e credenze popolari. Matteo Righetto ci restituisce il mondo arcaico della montagna, come in una corsa notturna nel bosco, con il cuore in gola.