HANIF KUREISHI: SONO UN VERO INGLESE, PIÙ O MENO

Che cosa può fare un uomo figlio dell’età della liberazione sessuale, del vitalismo  della Londra degli anni Settanta, quando l’età avanzata e l’infermità vengono a chiudere il suo orizzonte libertino? È quello che si chiede il protagonista concepito da Hanif Kureishi per il suo ottavo romanzo, A Nothing, “Uno zero” (Bompiani). Kureishi è un autore di culto: era sua la sceneggiatura del film del 1985 My Beautiful Laundrette, in cui un giovane omosessuale londinese anglo-pachistano vive il sogno di aprire una lavanderia automatica col suo amante, un giovane inglese etnico che proviene dalle file della dei suprematisti bianchi. Il film è un allegro affresco della periferia londinese in età thatcheriana, dove gang pachistane si incontrano e scontrano con ras di quartiere, studenti fuoricorso condividono le strade con esponenti del National Front, i concetti di mascolinità e di territorio producono gran fuochi di artificio, e così via.
Pochi anni dopo, nel 1990, Kureishi pubblica il suo classico e forse il suo capolavoro, The Buddha of Suburbia, “Il budda delle periferie”, un romanzo di formazione atipico, in cui il caos della crescita, del confronto con l’altro, si mescolano in modo esplosivo con l’identità di un figlio di immigrati che tutto vorrebbe fuorché essere riconosciuto come tale, almeno all’inizio della storia, ambientata nei coloratissimi anni Sessanta. L’incipit è memorabile: “Mi chiamo Karim Amir e sono un vero inglese, più o meno. La gente mi considera uno strano tipo d’inglese, come se appartenessi a una nuova razza, dal momento che sono nato dall’incrocio di due vecchie culture. A me però non importa, sono inglese (non che la circostanza mi riempia di orgoglio), vengo dalla periferia di Londra e sto andando da qualche parte”. La scrittrice Zadie Smith ha detto di questo libro: “dal punto di vista del nostro mondo del XXI secolo, dove l’unica reazione possibile a qualsiasi cosa sembra essere quella dell’affronto sdegnato, trovo sia un sollievo ricordare un’epoca in cui non eravamo tutti dei fiori talmente delicati da lasciare che ogni occasionale idiozia umana avesse il tremendo potere di offendere fino in fondo all’anima”.
In quest’ultimo libro, di cui Kureishi ha parlato a Una Montagna di Libri Cortina d’Ampezzo nel 2017, il protagonista Waldo è un ex regista di successo, ora ritratto alla fine della sua vita. Una notte, nella camera da letto accanto, Waldo, che vive semiparalizzato, si accorge della relazione tra la sua bella assai più giovane moglie Zee con Eddie, un critico cinematografico dal carattere insopportabile. Ne sorge una crudele e spesso esilarante guerra psicologica. A distanza di alcuni decenni dai suoi primi scritti, Hanif Kureishi resta affezionato alla diversità sociale da cui proviene, e che ha fatto da ambientazione a tanta parte della sua narrazione. “Sono figlio della generazione dei 60s, quella della controcultura, del suo anelito alla libertà. Dobbiamo combattere ogni forma di razzismo, attraverso il giornalismo, attraverso il cinema, ovunque lo vediamo. Dobbiamo combattere per ripristinare il senso di realtà”.
(Foto Giacomo Pompanin)