Balzac scriveva che “i ricordi rendono la vita più bella, dimenticare la rende più sopportabile”. Borges nel racconto La biblioteca di Babele lascia che i suoi personaggi individuino nell’oblio “una forma di memoria”. Già Dante alla fine del Purgatorio vuole che il fiume Lete permetta alle anime dirette al Paradiso di lavarsi dei propri peccati, rimuovendo così la memoria delle cose cattive del passato. La letteratura ha toccato il tema dell’oblio, e oggi, secondo Paolo Mieli, è necessaria una una terapia a base di oblio anche in ambito storico e politico. Per mettere in luce i danni da “eccesso di memoria”, prende in esame decine di eventi ed episodi del nostro passato, dalla storia antica al Medioevo fino ai nostri giorni: dal ruolo di Caracalla imperatore di Roma a Carlo Magno, da Bisanzio “oscurata” da Costantinopoli alla Napoli rivoluzionaria di fine Settecento. Racconta le origini della mafia, l’eredità del fascismo italiano e del nazismo tedesco, indagando il non detto che segna il racconto della Resistenza e spingendosi a commentare il discorso pubblico del nostro presente. Tra virus, pandemie, ipotesi cospirazioniste. “Gli storici avrebbero dovuto far argine in qualche modo al dilagare della memoria”, spiega, perché “quando si hanno idee forti sul presente, è pressoché inevitabile che quelle idee si impongano sulle interpretazioni del passato.” Eppure, dobbiamo fare di tutto per evitarlo.
