PETER CAMERON: C’È HUMOR NEL DOLORE

“Quando sentì Theo rientrare dalla cena a casa di Paula, Stefano stava leggendo a letto. Era stato invitato anche lui, ma aveva accampato la scusa del lavoro. Uno dei pochi lati positivi della sua professione di avvocato d’impresa era poter evitare gli impegni sociali sgraditi. Paula e tanti altri amici di Theo non gli erano antipatici, solo che preferiva non cenare con loro”. Volendo spiegare che cos’è la scrittura di Peter Cameron, uno degli autori americani contemporanei di maggiore talento, molto amato in Italia, a Una Montagna di Libri Cortina d’Ampezzo per presentare la coppia di racconti Gli inconvenienti della vita (Adelphi), si potrebbe prendere a esempio questo incipit. Non è ancora successo nulla, ma già dalle prime righe della storia capiamo che le cose non funzionano per niente. Ma cosa non funziona, esattamente? In fondo gli amici di Theo non sono antipatici a Stefano. Tuttavia lui non desidera cenare con loro. Perché? È un piccolo mistero, che aspetta il lettore. Così, più attraverso le reticenze che le rivelazioni, lavorando di sottrazione anziché di spiegazione, lo scrittore illumina con sguardo unico l’esistenza umana.
Peter Cameron, gli inconvenienti della vita sono quello che dà ad essa il suo sapore peculiare, eppure a volte sembrano superare in numero e in forza tutto il resto, ciò che dovrebbe essere lo stato di buonumore e di soddisfazione. Viene in mente la canzone di Vinícius de Moraes intitolata “La felicità” che però recita: “la tristezza non ha fine, la felicità sì”.
“Amo quella canzone, e mi sono sentito nello stesso modo quando ho letto la citazione di Gwen Raverat, che apre il mio libro: “Forse perché a quell’epoca era così frequente vedere cavalli maltrattati, finii per identificarmi con loro. Mi è di grande sollievo che al giorno d’oggi li si veda di rado, anche se l’unica ragione è che ce ne sono molto pochi da vedere. Ed è una cosa triste, giacché i cavalli, al pari degli uomini, preferirebbero certo esistere che non esistere affatto, malgrado i tanti inconvenienti della vita”. Raverat parla del fatto che quando le cose cominciano ad andare male, nella vita, possono andare veramente male, possono essere tragiche e perfino devastanti, eppure si riferisce ad esse con il termine ‘inconvenienti’, non dice ‘le sconfitte’, ‘le tragedie’ della vita, dice soltanto ‘gli inconvenienti’, il che è molto grazioso e molto britannico. Volevo che fin dal titolo questo libro portasse con sé insieme la tristezza ma anche lo humor che se ne può trarre”.
Si potrebbe dire che molta parte della sua tecnica di scrittore è basata su questo, sul deliberato intento di minimizzare situazioni spiacevoli oppure grandiose, come se volesse preservarne il mistero, le molte sfaccettature, il lato ironico.
“È così. La ragione di questa scelta è che come scrittore sono inevitabilmente attratto dalla sofferenza umana, dalla descrizione della pena e dell’angoscia, tuttavia sento che non puoi chiedere al lettore di seguirti in un tale viaggio senza che ci sia anche dello humor, sarebbe insostenibile. Anche perché la comicità è comunque presente nella vita, perfino nelle situazioni più cupe”.
Uno dei due racconti riguarda una coppia di anziani. Si è parlato molto di come raccontare senza stereotipi le coppie omosessuali. Ma come si scrive dell’amore dei vecchi?
“Abbiamo la tendenza a dare per scontato l’amore tra persone anziane. Pensiamo: ‘be’, ormai si sono detti quello che c’era da dirsi, si conoscono, la loro relazione è statica, non cambia’. Credo che sia quasi offensivo, perché ogni rapporto sentimentale evolve e si trasforma. Il problema è che quando si sta per tanto tempo con un uomo o una donna si tende ad accettare le cose per come sono diventate, che è quello che succede nel mio racconto: due anziani sposati da quarantacinque anni e ormai rassegnati alla consuetudine subiscono un incidente che li porta a mettere tutto in questione”.
I Bird sono abitanti della provincia americana, prevalentemente bianca e rurale. Pensa anche lei come Carrère che esista un pezzo di Occidente dimenticato – che non è di moda, che non viaggia, che non parla le lingue straniere – che merita nuova attenzione?
“Le storie e i personaggi arrivano sempre a me in modi assai misteriosi, non sono io che decido programmaticamente di parlare di questo o quel contesto. È la ragione per cui ho voluto accostare due storie così diverse – quella di una giovane coppia che si sente letteralmente al centro del mondo e quella di una coppia che, all’opposto, è lontana da ogni corrente. Come Carrère, sento che le vite di questi ultimi sono ugualmente interessanti”.
L’ultima volta che è stato in Veneto, a Cortina, era il 2014. Com’è cambiata la sua vita in questi cinque anni?
“Ho completato il mio nuovo romanzo, dopo un lungo periodo di blocco. È ancora in forma di bozza, ma direi che ci siamo. È una storia più cupa di tutte le mie altre, per questo è stato così difficile scriverla. Di Cortina ho il ricordo opposto, un luogo luminoso, il più particolare di tutti quelli che ho visitato in Italia. Era estate. Sono curioso di vederla con la neve”.
Francesco Chiamulera
(“Corriere del Veneto”, 14 marzo 2019)